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Festival della Fotografia Etica



Festival della Fotografia Etica | Lodi
6. - 28. Oktober 2018


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La battaglia dall’interno: Violenze sessuali nell’esercito americano

Lo spazio approfondimento ospita il progetto a lungo termine della fotografa americana Mary F. Calvert che, attraverso le sue potenti immagini, ha dato voce alle numerose soldatesse che hanno subito abusi e violenze, spesso perpetrati dai loro colleghi e superiori.  La probabilità che una donna venga stuprata da un commilitone è purtroppo più alta rispetto a quella di essere uccisa dal fuoco nemico.

Mary, al fianco delle vittime, testimonia la loro lotta per ottenere giustizia e per scuotere le coscienze al fine di produrre un cambiamento.


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Storie che fanno la differenza

Questa mostra ci farà viaggiare attraverso diverse nazioni dove Ami ha documentato con il suo sguardo attento e riflessivo la stretta relazione di complicità che si crea tra gli esseri umani e gli animali. Un’analisi profonda che mette in luce grandi sfide globali e problematiche locali raccontate attraverso gli scatti di una fotografa che tanto si è spesa per la conversazione delle specie e che ha cercato non solo di sensibilizzare il pubblico, ma anche di proporre soluzioni.


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Discendenza senza corna

Conosciute anche come mucche turbo, le razze da latte tedesche, così come le macchine, sono famose in tutto il mondo per le loro performance e affidabilità. Grazie alle tecnologie informatiche, negli ultimi dieci anni gli scienziati tedeschi sono riusciti a combinare il meglio delle caratteristiche genetiche e ad ampliare la conoscenza del genoma che ha loro permesso di creare e realizzare la “Übercow”, la “Supermucca”, un esemplare con una produttività di latte quattro volte più alta rispetto al passato e che negli anni a venire non avrà più le corna tra i suoi tratti caratterizzanti.

L’evoluzione delle corna ha consentito ai bovini di proteggersi oltre a garantire maggiore autonomia. Le corna sono anche importanti per la produzione del latte e la salute dell’animale. Tuttavia, le corna sono pericolose quando gli animali vivono insieme in enormi fattorie automatizzate con centinaia di altri esemplari. Dopo decenni di dolorose scornature di bestiame per mezzo di appositi attrezzi, grazie agli allevatori e scienziati tedeschi, in futuro le mucche potranno nascere senza corna, pur mantenendo gli stessi livelli di produttività del latte.

Se la mucca è concepita per essere una macchina da latte tecnologicamente avanzata e redditizia, cosa rimane dell’animale in sè come essere vivente?


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Il prezzo della vanità

La vanità è sempre stata motivo di grande interesse, specialmente nell’arte, basti pensare a pittori come Tiziano o Memling, ma anche nella scultura e nella letteratura. Ritroviamo un altro esempio in Narciso, uno dei più famosi personaggi della mitologia greca, la cui storia è segnata dalle insidie della vanità, così come quella di Lucifero, o di Adamo ed Eva.

Con questo lavoro l’autore intende proiettare l’analisi della vanità nella nostra era e investigare le forme di espressione narcisistica del giorno d’oggi e i suoi meccanismi sociali. Ma soprattutto, vuole raccontare qual è il prezzo della vanità. Molti sanno come funziona l’allevamento intensivo: tecniche industriali vengono sfruttate per ottenere la massima produttività al minor costo possibile, utilizzando il minimo spazio. E’ altresì vero che poco invece si conosce dei processi legati all’allevamento intensivo in relazione all’enorme business delle pelli di animali destinate ai mercati mondiali dell’alta moda. Questo lavoro racconta i sacrifici che stanno dietro agli spietati valori su cui si basa l’alta moda e le sue tendenze culturali, dominate da crudeli canoni estetici.

Sino ad oggi, Paolo ha portato a termine i primi quattro capitoli, in Colombia, dove ha documentato un allevamento intensivo di coccodrilli, in Polonia, in un allevamento di visoni e in Thailandia, all’interno di un allevamento di struzzi. Inoltre, ha raccontato le attività lucrative della concia, fase indispensabile a seguito del macello degli animali, e, per concludere la ricerca, ha documentato il surreale circuito dell’alta moda, fotografando quel luogo che più risponde ai molteplici interrogativi che possono sorgere e ultima destinazione di un lungo viaggio: la passerella, il simbolo di un diffuso bisogno sociale, ovvero la necessità di essere notati.


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Le bambine rapite da Boko Haram

Questa è una serie di ritratti che raccontano una storia di resilienza e forza . Le giovani donne ritratte in queste fotografie sono state catturate da Boko Haram, un gruppo di militanti islamici con sede in Nigeria, e costrette a farsi esplodere. Tuttavia, non si sono arrese e, invece di sottomettersi alle torture dei loro carcerieri, hanno opposto resistenza. Nonostante l’indottrinamento, queste giovani ragazze hanno deciso di non commettere un atto violento e di ribellarsi a coloro che le avevano rapite.

Boko Haram — il cui nome può essere tradotto approssimativamente con ‘la cultura occidentale è proibita’ — attacca dichiaratamente le scuole e ha rapito più di 2.000 donne e bambine dal 2014.
Le donne kamikaze vengono impiegate dai militanti come una nuova arma da guerra.
Nel 2016, il New York Times ha dichiarato che almeno uno ogni cinque attentatori inviati da Boko Haram nell’arco dei due anni precedenti era un bambino, solitamente femmina.
Il gruppo ha fatto ricorso a  27 bambini in attacchi suicidi nel primo trimestre del 2017, contro i 9 impiegati nello stesso periodo l’anno precedente.

Alcune delle ragazze sono riuscite a fuggire e hanno trovato la forza di raccontare, lanciando un segnale di speranza a migliaia di persone.


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Fabbricato in Corea | Sogno coreano

Nel 2014 ho iniziato il lavoro di ricerca e di preparazione per realizzare un progetto sulla Penisola Coreana, raccontando i fenomeni che coinvolgono la popolazione, in particolar modo i giovani.

Negli ultimi 64 anni, i due paesi hanno subito trasformazioni e sorti molto diverse ma, sotto certi aspetti, hanno in comune alcuni fenomeni, come il tentativo di esibire una eccellenza sociale e tecnologica verso il resto del mondo, ricercata esercitando una enorme pressione verso i giovani, a cui è affidato il compito fondamentale di condurre il paese verso, da un lato, la modernità e lo sviluppo economico, dall’altro lato, verso un riscatto politico che esige la riunificazione e indipendenza.

La prima parte del progetto, intitolata “Made in Korea”, è stata realizzata nel 2015 in Corea del Sud.

La seconda parte del progetto, intitolata “Korean Dream”, è stata realizzata nel nel 2017 in Corea del Nord.


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Vivere sotto una cupa minaccia

Questo lavoro fotografico è stato realizzato a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ‘90. L’autore del reportage era in attesa dell’autobus sotto uno di quei ponti costruiti negli anni ’60, che rappresentavano il simbolo dell’ingegneria italiana di quel periodo. All’improvviso dei rumori, come forti boati, simili a quelli di un tuono. In realtà si trattava di un camion: il suo passaggio provocava un assordante rumore sui giunti del ponte, quasi come se tutto stesse per crollare.

In quello stesso giorno Michele Guyot Bourg ebbe l’idea di documentare la vita che scorreva vicino e sotto i viadotti che attraversavano la sua città. Un progetto che ha richiesto 4 anni di lavoro, ormai lontani, ma che tornano così tragicamente vicini nei giorni della tragedia, che lo scorso 14 agosto ha colpito la città di Genova, portandosi via le vite di 43 persone.

“Vivere sotto una cupa minaccia”, è stato esposto in tutta Italia, ma non a Genova. L’autore lo ha realizzato nel suo tempo libero dopo il lavoro, quando si chiudeva in una camera oscura per sviluppare gli scatti regalati dai quei concittadini che gli aprivano la porta di casa e gli davano il permesso, in punta di piedi, di entrare nelle loro vite per raccontarle.

Ricorda le abitazioni dei ferrovieri in via Fillak, sotto il ponte Morandi, inizialmente un po’ restii verso il suo progetto di raccontare la vita che scorreva sotto il ponte. In alcuni casi ci sono voluti quasi 6 mesi per convincerli a farsi ritrarre.

Una documentazione fotografica dal linguaggio diretto in cui non servono le parole, veritiera di una realtà vissuta e subita negli anni. Voci che si uniscono attraverso le immagini, che a pochi giorni da quella terribile mattina, devono essere strumento di ricordo e documentazione per una nazione che deve riconciliarsi con se stessa.


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Yemen, le rovine di quella chè era una volta la “felice penisola araba”

Yemen, giugno 2017.

Più di 10.000 morti, metà dei quali sono civili. Un’epidemia di colera che ha interessato oltre 300.000 persone: la guerra iniziata in Yemen nel 2015 è un conflitto devastante, ed è praticamente senza testimoni esterni.

Lo Yemen è uno dei teatri della feroce lotta per estendere la loro influenza tra Arabia Saudita ed Iran, che si gioca anche in Siria o in Iraq.

Ma la guerra rivela anche altri contrasti, in particolare quelli tra il nord e il sud del paese.


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Vite afgane

Vent’anni di carriera in oltre 20.000 scatti sull’Afghanistan. Questa è l’immensa eredità che Shah Marai, capo fotografo della redazione locale di Agence France Presse (AFP) a Kabul, ha lasciato alla storia, in seguito alla sua morte avvenuta lo scorso 30 aprile. Altri 9 giornalisti hanno perso la vita in seguito al doppio attentato con bombe avvenuto nello stesso giorno.

Scatti spesso unici e accattivanti, di cui conserveremo specialmente quelli che non evocano la guerra, un paradosso in questo paese devastato da più di trent’anni di conflitti. Bambini sorridenti, palloncini colorati, lavoratori affaticati, donne discrete o conquistatrici: lo sguardo azzurro cielo di Marai, celebre tra i giornalisti che hanno vissuto o sono passati per l’Afghanistan dopo la fine degli anni 90, preferiva soffermarsi sulla vita quotidiana dei suoi compatrioti. Volti, situazioni, panorami, sfaccettature di un paese giovane e incompreso che fa del suo meglio per convivere con il quotidiano fatto di paure e privazioni. Istanti sospesi, tra sorrisi e disperazioni, che questo fotografo autodidatta che aveva scattato le sue prime fotografie sfidando i divieti dei talebani, sapeva cogliere.


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